I farmaci biologici rappresentano il 40% della spesa farmaceutica europea, ma tra quelli con brevetto in scadenza entro il 2032 il 75% non ha concorrenti in cantiere e questo comporterà nei prossimi 10 anni mancati risparmi per almeno 15 miliardi di euro. In Italia, i vantaggi garantiti dai biosimilari, che tra il 2019 e il 2022 hanno generato economie per quasi 1,7 miliardi su base annua, potrebbero sparire a fronte di un crescente rischio di carenze.
Ad accendere i riflettori sulle criticità legate alla governance dei farmaci biosimilari in Italia e in Europa è il convegno convegno «Biosimilari: un’opportunità a rischio? Le sfide per il futuro» organizzato da Iqvia Italia in collaborazione con Egualia: le criticità legate ai costi di produzione e i vincoli burocratici, ha detto Marco Travaglio, biosimilar competition and sustainability expert di Iqvia Uk, limiteranno la futura disponibilità di prodotti biosimilari in Europa. Ad oggi, infatti, circa 1/3 delle molecole a maggior spesa dei farmaci biologici non ha un farmaco biosimilare in corso di sviluppo, con la conseguenza che, al momento dell’imminente scadenza dei brevetti, ci potrebbe non essere la consueta apertura di mercato determinata dall’ingresso dei farmaci off patent.
Più critica la situazione dei prodotti a “bassa vendita”, ovvero quelli con un mercato Ue fino a 500 milioni di euro l’anno (76% dei biologici in scadenza entro il 2023), dove solo il 7% sarà oggetto di concorrenza nel prossimo decennio, con una mancata opportunità di minore spesa pari a circa 7 miliardi di euro. Stessa previsione per l’evoluzione del mercato dei farmaci orfani in cui solo un farmaco biologico orfano (eculizumab) ha finora attratto lo sviluppo di biosimilari, meno del 3% dell’intera coorte, secondo le analisi di Iqvia.
L’Italia, ha ricordato dal canto suo Francesca Poma, principal consulting di iqvia Italia, è il primo mercato europeo a volumi per i biosimilari e il terzo a valori, avendo raggiunto 450 milioni di euro nel 2023, pari al 54% del mercato totale dei biologici (836 milioni di euro). Il contributo dei biosimilari in termini di risparmi per il Ssn è notevole. Per alcuni prodotti – come i farmaci per le patologie autoimmuni – il costo medio a trimestre per paziente in trattamento con farmaci biologici si è ridotto del 40%.
Ma un rovescio della medaglia c’è. I biosimilari hanno sostituito in gran parte dei casi i loro originatori senza portare ad una crescita significativa dei pazienti in trattamento con le rispettive molecole, mentre è cresciuto l’accesso ai biologici innovativi, entrati sul mercato dopo il 2016, che hanno assorbito il 73% della crescita del numero di pazienti in terapia.
La normativa vigente garantisce al clinico più opzioni terapeutiche: il medico dovrebbe poter scegliere liberamente tra i primi tre classificati nella graduatoria di aggiudicazione della gara secondo il criterio del minor prezzo o dell’offerta economicamente più vantaggiosa ed è vietata la sostituibilità automatica tra i farmaci biologici. Nella pratica, le cose vanno diversamente: infatti, tutte le Regioni fanno formalmente uso dell’accordo quadro ma analizzando i dati emerge come nella maggior parte dei casi a valle delle procedure di acquisto si ha una netta prevalenza di utilizzo del primo aggiudicatario, ovvero il prodotto a prezzo più basso, così che il secondo e terzo aggiudicatario restano inutilizzati nonostante, spesso, vi siano differenze di prezzo insignificanti.
A spiegare i pericoli di questa dinamica dal punto di vista delle aziende è stato Matteo Rinaldi, business unit director di Sandoz Italia e coordinatore del Gruppo biosimilari di Egualia: «La legge vigente ha contribuito a garantire all’Italia un adeguato tasso di penetrazione dei biosimilari ma vi sono delle storture nell’attuazione a livello territoriale che potrebbero amplificare il rischio di carenze – ha affermato –. Il focus solo sul primo aggiudicatario fa sì che nel momento in cui questo non sia in grado di soddisfare il fabbisogno, gli altri players del mercato non saranno in grado di sopperire rapidamente alla mancanza, provocando così le carenze di farmaci. Nel corso del tempo, questo modello indurrà sempre più aziende a disinvestire dalla produzione e dallo sviluppo di farmaci biosimilari la cui offerta sarà sempre più rarefatta».
Di qui il doppio appello da parte del comparto italiano dei biosimilari come antidoto al “vuoto biosimilare” presente e futuro. «È necessario introdurre un meccanismo premiale per affrontare le criticità derivanti da una non adeguata applicazione della legge 232 del 2016 – argomenta ancora Rinaldi – consentendo alle strutture sanitarie maggiore flessibilità nella scelta, al fine di permettere alle aziende di mantenere un adeguato livello di produzione e garantire la piena disponibilità di farmaci sul territorio».