Si susseguono, tra gli esperti di legislazione farmaceutica, commenti e valutazioni sulla sentenza del 2 maggio scorso con cui il Tar Lazio è intervenuto sulle incompatibilità della legge 362/91 riguardo a una farmacista vincitrice del concorso straordinario. FPress ha chiesto a Quintino Lombardo, dello Studio Legale Cavallaro Duchi Lombardo e Associati,
Avvocato, ha letto la sentenza?
Certo. E posso dire che è una sentenza di cui probabilmente si discuterà ancora, perché propone una lettura del parere del Consiglio di Stato del gennaio 2018 molto più coerente alla logica del diritto speciale delle farmacie e dei principi costituzionali di libertà economica rispetto a quella che si era affermata nella prassi.
Perché?
In sintesi, il Tar afferma che i partecipanti nella società titolare di farmacia, che non siano iscritti all’Albo dei farmacisti, sono soggetti alle sole incompatibilità previste dalla legge 362/91 all’articolo 7 comma 2. Ossia, non possono svolgere qualsiasi altra attività nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco né l’esercizio della professione medica. Per i farmacisti, invece, valgono anche tutte le altre le incompatibilità di cui all’articolo 8, comma 1, tra le quali c’è il divieto a intrattenere qualsiasi altro rapporto di lavoro, pubblico o privato.
Non è quello che aveva detto il Consiglio di Stato nel famoso parere del gennaio 2018?
No, almeno secondo la lettura che nella prassi operativa – molto criticata a cominciare dal sottoscritto – gli era stata data: sembrava che per il Consiglio di Stato non potesse acquisire una partecipazione, anche di solo capitale e senza poteri di gestione, chiunque avesse un rapporto di lavoro, fosse farmacista o meno.
Che cosa cambia, quindi?
Ovviamente occorre tenere presente che la sentenza potrebbe essere appellata. Però oggi il Tar Lazio ci dice in sostanza due cose. La prima è che il farmacista vincitore del concorso straordinario è tenuto a gestire la farmacia e quindi è tenuto a un impegno professionale, perché è per questo che ha vinto il concorso, anche se ha partecipato in forma associata, come voleva il decreto Cresci-Italia. Per almeno tre anni i vincitori associati devono rimanere impegnati nella farmacia che hanno vinto e a loro è precluso ogni altro rapporto di lavoro. La seconda è che il senso delle incompatibilità dell’articolo 8, lettere b e c, della legge 362/1991, cioè ripeto quelle che precludono rapporti di lavoro di tipo professionale o non professionale con soggetti diversi dalle farmacie in cui si partecipa, risiede nella scelta legislativa di garantire l’indipendenza e l’autonomia del professionista che svolge la propria opera in farmacia, perché occorre valorizzare «la circostanza che tali divieti sono stati concepiti per soci che, al momento della stesura della norma, dovevano essere necessariamente farmacisti».
E per chi non ha fatto il concorso?
Seguendo il ragionamento dei giudici del Tar, la mia sensazione è che potrebbe affermarsi anche il seguente corollario: il farmacista che gestisce e che lavora in farmacia quale socio professionista (e qui per definizione, c’è il caso del farmacista vincitore della sede a concorso) non può avere altri rapporti di lavoro e resta soggetto a tutte le incompatibilità dell’articolo 8. Ma i farmacisti che non lavorano in farmacia e svolgono altre attività in via principale, escluse ovviamente quelle nel campo della produzione del farmaco eccetera, dovrebbero ritenersi equiparati a tutti coloro che farmacisti non sono, potendo quindi acquisire quote di partecipazione di società titolari di farmacia per mero investimento. Ciò per superare un’altrimenti evidente disparità di trattamento che, mancando l’impegno professionale in farmacia, costituirebbe un’irragionevole restrizione della libertà economica dei farmacisti, non trovando alcuna giustificazione d’interesse pubblico.