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L’esperto: con il Sunshine act aziende dovranno segnalare anche sconti e bonus alle farmacie

12 Luglio 2018

Restano incerte le reali ricadute per farmacisti e organizzazioni di categoria del cosiddetto Sunshine act, la proposta di legge presentata alla Camera dal M5S per incrementare la trasparenza nei rapporti tra industria farmaceutica e operatori sanitari. Anche se a una prima analisi, il testo sembra imporre maggiori impegni e responsabilità in capo ai soggetti interessati dalla pdl. Questa almeno è la lettura di Silvia Cosmo, avvocato ed esperta di legislazione della farmacia, che a FPress spiega certezze e ambiguità della proposta di legge.

Avvocato, partiamo da una radiografia dell’articolo 2, dove vengono definiti in dettaglio i soggetti interessati dal provvedimento. Il comma 1, lettera b, tratta degli operatori del settore salute e la domanda che in molti si pongono è: dal testo si può dedurre senza dubbio alcuno il coinvolgimento dei farmacisti, titolari e non?
A mio avviso servirebbe un chiarimento. L’obiettivo della proposta di legge è quello di garantire il diritto alla conoscenza dei rapporti, aventi rilevanza economica, intercorrenti fra le imprese produttrici di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi da una parte e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie dall’altra; sarebbe dunque ragionevole aspettarsi che nella norma vengano ricompresi anche i farmacisti, ma la definizione di “soggetti che operano nel settore della salute” proposta dall’articolo non consente di avere altrettanta chiarezza. E’ innegabile che il farmacista operi nell’ambito della salute e sia inserito nell’organizzazione sanitaria del Ssn, per il quale gestisce la dispensazione di medicinali con la responsabilità che gli deriva dalla concessione per l’esercizio di un pubblico servizio. Tuttavia, è altrettanto vero che la norma sembrerebbe riferirsi a un’organizzazione sanitaria specifica, dove il soggetto in questione esercita alternativamente poteri gestionali e di allocazione delle risorse oppure poteri decisionali in materia di farmaci o altri beni; tutte attività che non appartengono, a stretto rigore, al singolo farmacista.

Sempre al comma 1, stavolta lettera a, la proposta di legge definisce quali sono le imprese produttrici sulle quali ricade l’obbligo di segnalare al Ministero i nomi degli operatori sanitari ai quali ha concesso erogazioni economiche oppure intrattiene «relazioni d’interesse». Le farmacie in quanto aziende sembrano ricomprese in tale definizione?
Poiché il comma include nella formulazione le imprese che erogano «servizi nell’ambito della salute umana», è fuori di dubbio che nella definizione rientrano anche le farmacie che forniscono prestazioni come il Cup o la diagnostica di prima istanza; quindi, le associazioni di categoria che hanno stipulato con Asl e Regioni accordi per l’erogazione di servizi possono essere soggette agli obblighi che la legge pone a carico dei produttori. È anche vero, peraltro, che tale condizione non basta a far scattare l’obbligo di comunicazione: dovrebbe ricorrere anche «l’utilità effettuata dall’impresa produttrice a favore di un soggetto che opera nel settore della salute o di un’organizzazione sanitaria».

Facciamo qualche esempio per capire che cosa si intende per «utilità»: la partecipazione di un medico specialista a un convegno organizzato dall’associazione stessa? La collaborazione di un primario o di una clinica a una campagna di screening?
A fornire indicazioni in tal senso è l’articolo 3, che annovera ipotesi di natura pecuniaria e gratuita insieme. C’è certamente l’obbligo di comunicare al ministero della Salute convenzioni, erogazioni di denaro, beni e servizi e, in generale, “altre utilità” di valore unitario superiore a 10 euro o complessivo annuo maggiore di 100 euro (quando hanno per destinatario un soggetto operante nel settore della salute). Stesso obbligo per «le relazioni di interesse dirette ed indirette», che la norma esemplifica nella partecipazione, anche gratuita, a convegni, eventi formativi, comitati di varia natura, costituzione di rapporti di consulenza, di docenza o di ricerca. La partecipazione del medico al convegno organizzato dall’Associazione di categoria o la collaborazione di un primario di una clinica a una campagna di screening potrebbero venir inquadrate in quest’ultima casistica. Segnalo, tuttavia, che la dizione di «relazione di interesse» non trova definizione nella proposta di legge e resta, quindi, un concetto impreciso. Servirebbe, invece, una delimitazione dell’ambito per consentire un’adeguata applicazione della norma.

Sul versante opposto: una volta approvata la legge, quali utilità economiche o relazioni d’interesse che hanno per destinatario il farmacista obbligheranno l’azienda produttrice a segnalare, e quindi comporteranno per il professionista la pubblicazione del suo nome nel registro ministeriale?
L’ampia formulazione della norma sembrerebbe annoverare anche le scontistiche di favore o i bonus declinati in tutte le forme in cui possono apportare un vantaggio al soggetto che opera nell’ambito della salute. E’ evidente che chi ha presentato la proposta di legge avverte una forte esigenza di trasparenza, tanto è vero che le erogazioni di denaro prese in considerazione sono di importo modesto e specularmente le sanzioni – per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di comunicazione o per il caso di comunicazioni false o incomplete – sono molto severe: da un minimo di 1.000 euro fino a un massimo di 200.000. Allo stato, però, è solo una proposta di legge, che tuttavia non può essere trascurata dagli operatori del settore perché l’eventuale entrata in vigore, nei termini intransigenti dell’attuale versione, andrebbe a coprire dal punto di vista sanzionatorio quegli ambiti di attività e/o iniziative che attualmente sono esclusi dall’ipotesi di comparaggio o di ricezione anche solo di offerte, premi o vantaggi pecuniari o in natura di cui alla Legge. 219/2006.