Via libera del ministero della Salute all’importazione e commercializzazione di mascherine chirurgiche on etichetta in una delle lingue dell’Unione europea. La disposizione è contenuta nell’ordinanza emanata dal dicastero il 26 aprile e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale di ieri. «Ai soli fini dell’importazione di mascherine chirurgiche e facciali filtranti ffp2 e ffp3» recita l’articolo 1, comma 4 «non costituisce impedimento al rilascio del nulla osta sanitario da parte dell’Usmaf (gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera, ndr) né all’immissione in commercio, la circostanza che l’etichetta sia scritta in una delle lingue dell’Unione europea diversa rispetto alla lingua italiana».
Serviranno conferme, ma l’indicazione dovrebbe porre uno stop ai sequestri di mascherine prive di indicazioni in italiano disposti dai Nas in farmacie e magazzini di diverse regioni: soltanto ieri il Comando carabinieri per la tutela della salute aveva dato notizia di alcuni interventi a Bari, Foggia, Taranto e Lecce, mentre all’altra settimana risale il sequestro di oltre 200mila mascherine nei depositi Cef di Cremona e Brescia, motivato dall’assenza di istruzioni in italiano (erano in inglese).
Intanto tra i farmacisti titolari non si attenua lo sconcerto per un’altra ordinanza, quella del Commissario Arcuri in vigore da lunedì che fissa un prezzo massimo al pubblico di 0,50 euro (più iva) sulle mascherine modello uni-en 14683. Nonostante il “rattoppo” ottenuto da Federfarma, sui social la polemica resta al calor bianco e sono in tanti a chiedersi significato e modalità applicative di quel «ristoro» promesso da Arcuri alle farmacie che applicando l’ordinanza venderebbero in perdita.
A tenere alto il malumore sono poi le incertezze legate ai risvolti del provvedimento, non tutti messi subito a fuoco. E’ ormai chiaro e confermato da varie fonti che la disposizione sul prezzo massimo si applica soltanto alle mascherine del modello specificato nell’ordinanza (allegato 1: uni-en 14683 tipo I, II e IIR). Le ffp2 e 3 (uni-en 149-2009) oppure le Kn95, che però non sono classificate come dispositivo medico, restano escluse dall’ordinanza e quindi possono essere vendute al loro giusto prezzo di mercato.
Ma la realtà potrebbe non essere così semplice: al pubblico le differenze tra modelli sfuggono e dopo il clamore suscitato dall’iniziativa del commissario Arcuri tutti si recheranno in massa nelle farmacie per chiedere le mascherine a 0,50 euro. E se non le troveranno, i farmacisti torneranno a essere dipinti come speculatori e profittatori (ci ha messo del suo anche lo stesso Arcuri, che domenica ha rivendicato con orgoglio il provvedimento contro «i vergognosi speculatori: da lunedì non ci saranno mascherine che costeranno più di 0,50 euro finché il mercato non sarà maturo»).
Che fare allora? Il gruppo Crai, al quale fanno capo le insegne Crai, Pellicano, Caddy’s, IperSoap, Pilato, Proshop, Risparmio Casa, Saponi e Profumi, Shuki e Smoll, ha annunciato poche ore fa che ritirerà dalla vendita le mascherine chirurgiche. «Siamo nell’impossibilità» riferisce una nota dell’azienda «di vendere le mascherine a un prezzo inferiore al loro costo di acquisto. Confidiamo che il governo voglia risolvere al più presto tale situazione in modo da consentirci di riprendere la vendita delle mascherine in questione».
Federfarma nazionale, invece, si limita per ora a distribuire agli associati nuovi consigli sulla documentazione da raccogliere sempre in vista di quel «ristoro» concordato con il commissario Arcuri: in una circolare pubblicata ieri, in particolare, la Federazione suggerisce di «redigere un inventario delle mascherine chirurgiche in giacenza alla data del 27 aprile alle ore 00.00, facilmente estrapolabile dal sistema gestionale». Qualche unione regionale del sindacato si spinge ancora più in là e invita le farmacie a fotografare le forniture, sempre allo scopo di comprovarne l’acquisto.