E’ in vigore da ieri, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale 108 del 27 aprile, l’ordinanza del commissario straordinario per l’emergenza covid, Domenico Arcuri, che fissa a 50 centesimi iva esclusa il prezzo massimo al quale farmacie e altri canali del commercio devono vendere le mascherine tipo I, tipo II e tipo IIR. Un tetto, come recita il testo, che scaturisce «dalla necessità di assicurare la massima diffusione dei dispositivi di protezione individuale, anche in ragione del prevedibile aumento della domanda di mascherine chirurgiche conseguente al prossimo avvio della così detta fase 2» e dalla preoccupazione che tale aumento della domanda possa comportare una lievitazione ingiustificabile dei prezzi al consumo.
Firmato domenica, il provvedimento è stato bersagliato per tutta la giornata di ieri dalle critiche dei rivenditori. Confcommercio, per bocca della sua vicepresidente Donatella Prampolini, ha detto senza mezzi termini che a quel prezzo gli associati smetteranno di importare mascherine. «Con le attuali dinamiche di mercato» ha spiegato «quella di 50 centesimi è una cifra che non sta né in cielo né in terra». La richiesta dell’associazione, quindi, è quella di rivedere il prezzo e alzarlo almeno a 60 centesimi a mascherina. «La cifra che oggi si riesce a strappare, se si è molto bravi, è 55 o 60 centesimi» continua Prampolini «oppure ci trovino un canale pubblico attraverso il quale fare grandi commesse garantite a un certo prezzo e ce le mettano a disposizione». Intanto, conclude la vicepresidente di Confcommercio, «molte aziende hanno bloccato vendite e ordini».
Pollice verso anche dal governatore del Veneto, Luca Zaia: «Se 50 centesimi è il prezzo fisso di una mascherina, tutta la produzione nazionale sparisce» ha detto «questa soglia rappresenta il prezzo alla produzione, noi per equilibrare il mercato abbiamo comprato mascherine chirurgiche prodotte in Veneto e il prezzo era un euro».
Contro anche le imprese: «È una follia» afferma Giovanni Mondini, presidente di Confindustria Genova «le imprese che hanno deciso di riconvertire la produzione hanno fatto sforzi enormi, sono state addirittura sollecitate a spendere. E ora questo: il prezzo è assolutamente insostenibile, non c’entra nulla la speculazione». In Liguria sono 37 le aziende che si sono messe a produrre mascherine, soprattutto velerie e prodotti da sub ma ci sono anche industrie tessili e tipografie. «Il prezzo calmierato avrebbe senso se fosse lo Stato a coprire la differenza» conclude Mondini «ma così ci rimettono solo le aziende. Chi ha fatto uno sforzo così importante deve essere remunerato. Mi chiedo come possano succedere cose del genere in Italia».
Se lo sono chiesto anche i farmacisti, che dalla mattina di ieri hanno riversato sui social di categoria tutta la loro indignazione. Molti, in particolare, i post di titolari che ora si ritrovano con ordini già pagati ma non ancora consegnati o forniture già in magazzino ma ancora da distribuire, che se commercializzati al prezzo indicato dall’ordinanza sarebbero venduti in perdita.
In campo anche Federfarma, che peraltro nei giorni precedenti aveva sollecitato le autorità perché imponessero sulle mascherine un prezzo unico su tutto il territorio nazionale: in una comunicazione trasmessa in mattinata al Commissario straordinario, la Federazione ha chiesto che alle farmacie venga concesso «un congruo arco temporale» per consentire lo smaltimento delle scorte acquistate a prezzi superiori a quello imposto. E che vengano comunicate «le procedure da seguire, a far data da oggi, per cedere al pubblico le mascherine al prezzo imposto di € 0,50, richiedendo alla Parte pubblica di farsi carico del differenziale tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita imposto». «Il corrispettivo di 0,50 euro» rimarca Federfarma nella circolare interna in cui dà notizia della lettera ad Arcuri «realizza evidenti danni economici nei confronti delle numerosissime farmacie che si sono approvvigionate a prezzi senz’altro superiori».
Nel pomeriggio la risposta del Commissario, che in un comunicato diffuso dal sindacato su carta non intestata e privo di firme, annuncia un’intesa con Federfarma, Fofi e Assofarm perché farmacie e parafarmacie siano «messe in condizione di vendere le mascherine chirurgiche al prezzo massimo di 0,50 euro «senza alcun danno economico per i farmacisti». Inoltre alle farmacie che, negli ultimi giorni, hanno acquistato dispositivi di protezione a un prezzo superiore ai 50 centesimi, «verrà garantito un ristoro e assicurate forniture aggiuntive, tali da riportare la spesa sostenuta per ogni singola mascherina al di sotto del prezzo massimo deciso dal Governo».
Infine, nelle prossime ore «verrà sottoscritto un ulteriore accordo che consentirà alle associazioni di farmacisti di negoziare, congiuntamente con il Commissario, l’acquisizione di importanti quantitativi di mascherine a un prezzo inferiore a quello massimo fissato dall’ordinanza».
Serviranno, ovviamente, ulteriori dettagli e chiarimenti, soprattutto sull’operatività: come verrà erogato il cosiddetto «ristoro»? E in che misura coprirà le spese sostenute dalle farmacie, visto che per il rimborso si parla anche di «forniture aggiuntive» di mascherine»? E cosa se ne faranno, di questi ulteriori stock, le farmacie che già hanno fatto ordini per diversi mesi? Sono alcune delle domande che da ieri rimbalzano sui social più frequentati dai farmacisti. E non solo: «Stiamo stati subissati di telefonate dei nostri iscritti che chiedevano chiarimenti sul comunicato del Commissario» spiega Giampiero Toselli, segretario di Federfarma Milano «purtroppo al momento l’unica indicazione che arriva da Federfarma è un invito a conservare la documentazione fiscale e amministrativa degli ordini più recenti, in modo da evidenziare lo scarto tra prezzo di acquisto e prezzo di cessione. Ma è un controsenso: la documentazione fiscale va comunque conservata per legge, non si capisce perché ricordarlo».
Ma c’è anche un altro risvolto di cui i titolari devono tenere conto fin da subito, visto che l’ordinanza è già in vigore. Se n’é accorta Federfarma Lombardia, che in una circolare inviata ieri pomeriggio agli iscritti ricorda il campo di applicazione dell’ordinanza: l’allegato 1, infatti, precisa che la disposizione sul prezzo imposto «si applica soltanto alle mascherine facciali con standard Uni En 14683». Per applicare il prezzo imposto, conclude il sindacato regionale, «le farmacie dovranno verificare se i dispositivi che vendono rientrano in tale standard». Anche perché di certo, gli eventuali «ristori» erogati dal Commissario straordinario copriranno la spesa in eccesso soltanto di queste mascherine, non delle altre che le farmacie eventualmente venderanno al prezzo imposto.