di Giorgio Cenciarelli (da Pharmacy Scanner 81/2009 del 2 maggio)
La difficile partita che i titolari stanno giocando sulla remunerazione dei farmaci rimborsati dal Ssn potrebbe avere un impatto determinante sul futuro della farmacia italiana. L’idea di sganciare la retribuzione dal margine parte da lontano e trova la sua prima affermazione nell’ottobre del 2012, quando Aifa e sigle della filiera firmarono un accordo poi bocciato da Finanze e Sanità e di fatto abbandonato. Il modello, in particolare, prevedeva per farmacie e distributori un sistema misto composto da una quota fissa e una quota variabile, accompagnato da una revisione dei prezzi dei farmaci che avrebbe dovuto entrare in vigore dal gennaio successivo.
Dopo l’alt dei Ministeri l’intesa finì in un cassetto, lasciando così farmacie e distributori esposti alle curve negative del mercato. Ricordo a questo proposito che in dieci anni il mercato dei farmaci a carico del Ssn nel canale farmacia ha è calato dai 12,5 miliardi del 2007 ai 10,1 miliardi del 2018 (fonte dati IQVIA), per una perdita di quasi di 2 miliardi e mezzo.
Le ragioni di tale contrazione sono note: genericazione di molecole importanti, misure di contenimento della spesa, incremento di distribuzione diretta e dpc, lanci di nuovi farmaci quasi esclusivamente affidati al canale ospedaliero.
A fronte di un Fondo sanitario che di anno in anno resta stabile, oppure cala – quindi, di una spesa farmaceutica che non riceve risorse aggiuntive – l’ipotesi di una remunerazione basata su fee più quota variabile legata al prezzo del farmaco creerebbe inevitabili squilibri. E non solo: tra i farmacisti titolari emergerebbero dissensi e resistenze, perché il valore medio della ricetta Ssn mantiene forti squilibri tra le diverse regioni.
A risorse “finite”, dunque, la filiera non ha altra strada se non ritagliarsi risorse economiche aggiuntive all’interno del Fondo sanitario nazionale, diverse da quelle riservate alla spesa farmaceutica (che per legge è pari al 14,85% del Fondo stesso, 7,96% per la spesa territoriale e 6,89% per l’ospedaliera più la dd-dpc).
In particolare, andrebbero considerate ipotesi come quella di ottenere una revisione del Prontuario per riportare nel canale farmacia (convenzionata o dpc) medicinali che oggi sono prevalentemente distribuiti in ospedale. Non entro nell’ormai decennale polemica sui reali costi e benefici della distribuzione diretta, ma ricordo che da qualche anno la spesa ospedaliera sfonda regolarmente di oltre 2 miliardi di euro (2,2 miliardi nel 2018) mentre la spesa convenzionata chiude con risparmi che variano tra i 300 e 500 milioni all’anno.
La Farmacia dei servizi è una concreta opportunità per rivendicare risorse integrative rispetto al budget della spesa farmaceutica, a patto che si riescano a sviluppare progetti con strutture It adeguate per connettere farmacie, medici di famiglia e strutture ospedaliere, nel rispetto delle linee guida Europee in tema di data privacy nella gestione dei dati generati. Rappresenta senz’altro un’esperienza da imitare quella offerta dalla Francia con la vaccinazione antinfluenzale in farmacia, remunerata dal sistema sanitario e di recente confermata anche per la prossima stagione influenzale in tutto il Paese.
Ma per uscire dall’impasse e ottenere un riconoscimento economico sarà necessario che le farmacie garantiscano servizi davvero convenienti per il Ssn, non soltanto dal punto di vista economico ma anche per le agevolazioni che offrono ai pazienti. Diventerà quindi centrale la concreta capacità di misurare e calcolare i risultati ottenuti, partendo da basi dati solide e certificate su ampia scala, regionale o nazionale.
Dal punto di vista economico questo significherebbe garantire investimenti nel breve alle Farmacie per i servizi erogati sapendo di poter ottenere solo nel medio e lungo termine concreti risparmi grazie ad una riduzione dei pazienti da gestire in fase acuta e quindi minori ricoveri ed interventi chirurgici. Considerando che i Ministeri operano normalmente su previsione e budget di spesa di breve termine (spesso anno su anno ) sarebbe auspicabile un cambiamento in questa direzione anche se oggettivamente difficile da ottenere.
Non trascurerei inoltre la grande opportunità e l’enorme valore che potranno garantire i “Big data” sanitari generati dallo sviluppo della farmacia dei servizi nel prossimo futuro.