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Ossigeno, Assogastecnici: oltre a bombole mancano degenze per dimessi

13 Novembre 2020

Ci risiamo: le terapie intensive sono sovraccariche di malati da covid, gli ospedali hanno cominciato a deospedalizzare massicciamente per liberare posti letto, i pazienti vengono rimandati a casa appena possibile anche se hanno ancora bisogno dell’ossigenoterapia. Era successo ad aprile e l’impreparazione poteva ancora essere addebitata all’imprevedibilità della pandemia, si sta ripetendo oggi e stavolta non ci sono più scuse. E se Federfarma ha cominciato da ieri a battere la strada della sensibilizzazione di pazienti e famiglie – per convincerli ad accelerare la restituzione dei contenitori vuoti – Assogastecnici ricorda il suo appello della primavera scorsa per l’individuazione delle cosiddette “degenze di sorveglianza”.

In sei mesi, spiegano all’associazione che rappresenta i produttori di gas medicali, le aziende hanno investito 15 milioni di euro per incrementare la dotazione di bombole, contenitori criogenici, serbatoi e unità base. Ma se ad aprile si contavano in Italia 175mila recipienti, oggi il numero è cresciuto di poco perché per fabbricarli ci vuole tempo e chi le produce – un pugno di aziende in tutto il mondo – deve fare i conti con una domanda intensa dappertutto.

Per questo, ribadiscono ad Assogastecnici, la questione bombole si può risolvere soltanto con soluzioni alternative. Per tale motivo, ad aprile i produttori avevano proposto alle Regioni e al ministero della Salute di non domiciliarizzare i dimessi dalle terapie intensive ma concentrarli in strutture realizzate allo scopo – alberghi requisiti, Rsa dismesse, anche tendoni della Protezione civile – in modo da fornire ossigeno da impianti identici a quelli dei reparti ospedalieri, alimentati da un serbatoio centrale. Quello che in Italia non manca, infatti, è l’ossigeno liquido: la dotazione nazionale ammonta a due miliardi di metri cubi, e la quantità destinata tradizionalmente al settore medicale non supera il 10%.

Il progetto di Assogastecnici, tuttavia, è rimasto ampiamente disatteso. Finora, dicono i produttori, si è mossa quasi soltanto la Lombardia, che ha deliberato l’istituzione di «degenze di sorveglianza» per un totale di 1.500 posti letto (le prime sono già state aperte, per esempio nel bresciano). Le altre Regioni devono ora correre ai ripari.