Per i pazienti in trattamento con farmaci anticoagulanti, la pandemia ha avuto effetti senz’altro negativi, perché le prescrizioni per questo tipo di medicinali sono calate anche del 60% rispetto alle medie abituali. Il dato arriva da una recente ricerca condotta dall’Istituto superiore di sanità (Iss) in collaborazione con l’Aifa, cui hanno attivamente contribuito Gian Franco Gensini e Giuseppe Ambrosio, rispettivamente direttore e vicedirettore scientifico dell’Irccs MultiMedica di Milano.
Il gruppo di lavoro, costituito da ricercatori di diversi centri e ospedali, si è concentrato sui pazienti italiani che accedono normalmente a cure anticoagulanti, circa un milione e mezzo di persone. I ricercatori hanno analizzato i dati contenuti nel Registro nazionale istituito da Aifa per monitorare le prescrizioni dei farmaci anticoagulanti orali diretti (i cosiddetti Doac), comunemente utilizzati per il trattamento della fibrillazione atriale non valvolare e della trombosi venosa.
L’obiettivo era valutare se e quanto gli accessi in ospedale per diagnosi e terapie fossero diminuiti, prendendo in esame il periodo del primo lockdown e quello immediatamente successivo (da marzo a luglio 2020). I risultati, pubblicati sull’European Journal of Preventive Cardiology, organo ufficiale della Società europea di cardiologia, hanno evidenziato un calo drastico delle prescrizioni di questi farmaci, fino al 60% in meno rispetto alle stime medie, che si è mostrato più rilevante nelle fasce d’età più avanzate.
Le ragioni di questo calo, identificate dagli autori dello studio, sono legate a diversi fattori: innanzitutto, una riduzione generalizzata delle diagnosi di patologie non-Covid durante la pandemia; in secondo luogo, la difficoltà di accesso alle cure mediche, a causa del sovraccarico del sistema sanitario e del sovvertimento dei percorsi di cura all’interno degli ospedali dovuto all’emergenza. Infine, è verosimile che molti pazienti abbiano avuto difficoltà di effettuare i controlli periodici per timori legati al rischio di contagio e, soprattutto nel caso dei pazienti anziani, per difficoltà logistiche nel recarsi in ospedale durante il lockdown.
«In conclusione» riassume una nota dell’Irccs Multimedica «lo studio ha documentato, in maniera precisa e su tutto il territorio italiano, l’impatto negativo indiretto del Covid-19 sui pazienti affetti da questa patologia cronica, che sono stati penalizzati a livello di accesso ai luoghi di cura e alle terapie, con un conseguente maggiore rischio di complicanze gravi».