Le farmacie che risiedono in contesti urbani popolari e a basso reddito rischiano la chiusura per motivi economici più degli esercizi ubicati nelle aree rurali. E le farmacie indipendenti più degli esercizi organizzati in catena. E’ quanto rivela una ricerca condotta dall’università dell’Illinois di Chicago e pubblicata l’altro ieri da Jama Internal Medicine: lo studio rappresenta la prosecuzione ideale di una precedente ricerca, pubblicata ad aprile dallo stesso team di studiosi, che individuava una relazione tra la chiusura di una farmacia e la flessione dell’aderenza terapeutica nei pazienti che si appoggiavano a quell’esercizio; registrata quell’evidenza, i ricercatori americani hanno deciso di indagare sulle cause di mercato che determinano la chiusura di una farmacia, per valutare l’efficacia delle misure con cui il governo sostiene i presidi disagiati.
La raccolta dei dati si è avvalsa di diverse fonti, demografiche e censuarie (per l’analisi di popolazione e comunità locali) e amministrative (per la categorizzazione e indicizzazione delle farmacie). I conteggi che ne risultano dicono che nel 2009 le farmacie in attività negli Stati Uniti erano 62.815, nel 2015 ammontavano invece 67.721 (per una crescita complessiva del 7,8%). Il totale però sale a 74.883 se si considerano tutte le farmacie che nel periodo hanno aperto, mentre quelle che nello stesso lasso di tempo hanno chiuso sono 9.564 (12,8%).
Gli autori hanno quindi concentrato l’attenzione sulle chiusure, classificate in base alla tipologia di esercizio (farmacia indipendente, in catena, supermercato, drugstore, farmacia ospedaliera o pubblica), per misurare quali categorie avessero patito il maggior numero di chiusure e quindi mostrano tassi di rischio più elevati. I risultati confermano soltanto in parte le opinioni che comunemente si registrano sul tema: le farmacie delle aree urbane mostrano un indice di rischio superiore a quello delle farmacie rurali (3.29 vs 2.98), le farmacie indipendenti – a prescindere dal fatto che operino in area urbana o extraurbane – scontano un rischio di chiusura superiore a quello delle farmacie in catena (circa tre volte).
A incidere sul tasso di rischio delle farmacie urbane è soprattutto il contesto: le farmacie che risiedono in zone cittadine popolari, a basso reddito o con un ridotto numero di assistiti, mostrano indici di rischio superiori alle altre farmacie, comprese le rurali che operano in aree con le stesse caratteristiche. In particolare, gli esercizi ubicati in quartieri con una forte presenza di abitanti a basso reddito evidenziano un tasso di rischio quasi due volte superiore (1.9); le farmacie che operano in aree dove c’è una cospicua presenza di persone non assicurate (dalla sanità privata) mostrano un indice di rischio di 2.11; gli esercizi collocati in zone dove abbondano gli assicurati con i programmi pubblici Medicare e Medicaid il tasso sale a 2.29.
Le evidenze che emergono dallo studio, è la conclusione dei ricercatori, dicono che tra il 2009 e il 2015 ha chiuso una farmacia americana ogni otto e che tali chiusure hanno colpito più degli altri gli esercizi indipendenti e quelli ubicati in aree a basso reddito. Sebbene gli sforzi condotti finora dalle autorità per sostenere l’accessibilità del servizio si siano concentrati sulle farmacie delle aree rurali, scrivono in particolare gli autori, «abbiamo scoperto che gli esercizi in attività nelle zone urbane a basso reddito corrono rischi di chiusura più elevati». Il suggerimento, quindi, è che le politiche mirate a sostenere il sistema farmacia prendano in considerazione interventi diretti a migliorare i rimborsi dei programmi pubblici per l’assistenza farmaceutica e rivedere il sistema di pagamento. «Le evidenze» concludono i ricercatori «sono anche un invito a indagare sulla capacità attrattiva delle farmacie in catena, per proteggere le farmacie indipendenti dal rischio di chiusura soprattutto nelle aree urbane».