Le farmacie possono migliorare l’appropriatezza delle prestazioni, in particolare nell’ambito della prevenzione, e «partecipano quindi a pieno titolo al rafforzamento dei servizi territoriali nei quali risulta fondamentale il criterio della prossimità». È quanto scrive Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e della Salute nel 2008-2009, poi ministro del Lavoro e delle politiche sociali dal 2009 al 2011 e infine senatore dal 2006 al 2018, in un articolo sulla rivista Startmag dal titolo “Come cambieranno le farmacie”.
Nel 2006, ricorda Sacconi, vi fu il tentativo di procedere a una parziale liberalizzazione della distribuzione dei farmaci (il famoso decreto Bersani, ndr). Nel decennio successivo, le farmacie si videro confermate nella funzione di luogo deputato alla dispensazione, e perciò regolato, con l’aggiunta dell’erogazione di alcuni servizi sociosanitari. «Il riconoscimento del loro ruolo nell’esperienza pandemica» prosegue Sacconi «ha poi riproposto l’esigenza di collocarle nei servizi sanitari regionali quale primario presidio delle comunità».
Atti normativi e giurisprudenziali hanno consolidato l’evoluzione dei compiti delle farmacie nei percorsi di prima diagnosi, assistenza e riabilitazione attraverso strumentazioni proprie e attività convenzionate. «In particolare, possono partecipare al servizio di assistenza domiciliare integrata a supporto delle attività del medico di medicina generale o del pediatra di famiglia, collaborare alle iniziative finalizzate a garantire il corretto utilizzo dei medicinali prescritti e il relativo monitoraggio nonché l’aderenza alle terapie, erogare servizi di primo e secondo livello, tra cui prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell’ambito dell’autocontrollo, gestire la prenotazione delle prestazioni specialistiche, il pagamento delle relative quote di partecipazione alla spesa a carico del cittadino e il ritiro dei referti relativi».
Le farmacie, osserva Sacconi, «possono così concorrere al miglioramento dell’impiego di prestazioni sanitarie appropriate con particolare riguardo alla prevenzione», rafforzando la prossimità dei servizi territoriali. Nei quali, è l’avvertimento, risulta fondamentale il criterio della prossimità, «garantito in primo luogo dalla evoluzione dei medici di medicina generale verso studi associati dotati di requisiti minimi inderogabili».
Tale prossimità, conclude Sacconi, «va realizzata da professionisti sanitari in collaborazione tra di loro, in certa misura oltre le tradizionali separazioni». In questo contesto, «parlare di conflitti di interessi tra figure ordinistiche è un non senso perché tutti devono operare nel rispetto di criteri deontologici e secondo gli indirizzi disegnati dalle aziende territoriali. Solo una siffatta prima linea pubblica e sussidiaria può garantire selezione della domanda di salute e ridimensionare le pressioni nei confronti delle strutture ospedaliere».