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Servizi in farmacia, le polemiche dei medici e i rimpianti per quella parola “referto”

11 Marzo 2025

Sarebbe stato meglio evitarla, la parola «referto», in quel comma dell’allegato 4 alla nuova Convenzione tra Ssn e farmacie (il terzo dell’articolo 3) che impegna il farmacista a consegnare all’assistito l’esito scritto del test diagnostico «debitamente firmato su carta intestata della farmacia». Perché scava scava, è proprio la questione della refertazione che nei giorni scorsi ha allargato ulteriormente il fronte dei nemici della farmacia dei servizi, con la mobilitazione di sigle non proprio di secondo piano come Anaao-Assomed (il più importante tra i sindacati dei medici ospedalieri pubblici), Fismed e Sibioc (due società scientifiche della medicina di laboratorio).

E il bello è che, a quanto pare, nessuno sa da dove sia spuntata fuori la parola “referto” in quell’allegato: Federfarma e Assofarm non ne sapevano nulla e si sono rese conto della sua presenza soltanto dopo avere firmato la Convenzione (prendendosi anche i rimproveri della Fofi, che peraltro al tavolo delle trattative era presente seppure in via informale); è quindi verosimile che a infilarla siano state le Regioni e la Sisac, ma non è chiaro se per leggerezza o per precisa volontà politica.

Fatto sta che la parola “referto” assieme a “diagnosi”, sono oggi i due pomi della discordia che alimentano il risentimento dei medici. Hai voglia, ha detto nei giorni scorsi qualche farmacista, a ripetere che i test analitici in farmacia non hanno valore diagnostico: poi ti ritrovi una convenzione che in uno degli allegati (il quarto, per l’appunto) parla di «esecuzione di test diagnostici» e di «referto» firmato dal farmacista e allora diventa difficile gettare acqua sul fuoco.

Sì perché per i medici la parola referto assume un significato ben preciso, come ricordano in una lettera pubblicata ieri da Quotidiano Sanità Annarita Martini e Alberta Caleffi, rispettivamente segretario nazionale e segretario regionale per l’Emilia Romagna della Fassid Area Aipac (patologi clinici): il referto, scrivono citando diverse pubblicazioni scientifiche, è «uno strumento che trasforma un’informazione quantitativa (il risultato) in una “informazione per decidere”, clinicamente utile»; in particolare, le due dirigenti contrappongono il “referto”, ossia «la relazione clinica, la risposta del medico» al “reperto”, che invece «è un dato bruto, il risultato di una ricerca. Il reperto diventa referto in seguito all’interpretazione del medico che lo carica di significato informativo».

In sostanza, come qualche farmacista ha ammesso in via informale, sarebbe stato meglio che anziché referto in quell’allegato fosse stato scritto reperto, oppure risultato. Si sarebbe evitata qualche polemica di cui proprio non c’era bisogno, perché per i medici la parola referto ha un contenuto professionale distintivo proprio come per i farmacisti ha la parola dispensazione.

E non solo: in prospettiva, quanto disposto nell’allegato 4 rischia di avere strascichi anche al tavolo dove Federfarma e sindacati confederali stanno negoziando il rinnovo del contratto nazionale dei dipendenti di farmacia privata: nel momento in cui si sancisce che sul farmacista collaboratore che firma un referto grava anche una responsabilità civile e penale («il farmacista che esegue il test viene esposto a possibili conseguenze di ordine medico-legali e risarcitorie» ricordano nella loro lettera le due rappresentanti dell’Aipac) le sigle dei dipendenti faranno partire certamente richieste di adeguamenti salariali che tengano conto del nuovo quadro regolatorio. E intanto, sui social c’è già chi si domanda se è sostenibile che a siglare referti sia un farmacista assunto con contratto del commercio.