La capillarità della rete costituita dalle farmacie del territorio ha tra i suoi effetti virtuosi quello di contenere i ricoveri urgenti e quindi i costi che gravano sul Ssn. Tant’è vero che l’incremento dei presidi farmaceutici determinato dalla riforma Monti del 2012 ha ridotto la spesa ospedaliera pubblica di circa 90 milioni di euro all’anno. È l’evidenza proveniente da uno studio condotto dalla Banca d’Italia e pubblicato la settimana scorsa nella collana dei Working papers dell’Istituto. Gli autori (Andrea Riganti, del dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi dell’università di Milano, e Andrea Cintolesi, expert della sede fiorentina di Banca d’Italia) hanno messo a confronto gli effetti del concorso straordinario del 2012 con l’andamento dei ricoveri ospedalieri per le principali categorie diagnostiche.
Secondo lo studio, in particolare, la riforma Monti ha liberalizzato gli orari di apertura e ha aumentato il totale delle sedi in attività dalle 17.300 della fine del 2012 alle 18.900 della fine del 2019, per un incremento di circa l’8%. Lo sviluppo ha avuto effetti positivi sull’accessibilità del servizio farmaceutico, come dimostrano le Indagini multiscopo sulla vita quotidiana degli italiani condotte dall’Istat a cadenza annuale: se fino al 2012 le interviste a campione sull’accessibilità dei servizi davano un livello di soddisfazione stabile attorno all’80% per quanto riguarda le farmacie, due anni dopo l’indice risulta all’85%.
Gli autori, quindi, hanno analizzato l’andamento che nello stesso periodo hanno caratterizzato i ricoveri ospedalieri, raggruppati per Mdc (Major diagnostic category, l’equivalente della classificazione Atc per i farmaci). «Complessivamente» scrivono gli autori «più di un terzo della spesa totale è per ricoveri urgenti non chirurgici. La categoria più costosa si riferisce alle diagnosi e alle malattie dell’apparato cardiocircolatorio», seguono quindi i ricoveri per malattie dell’apparato locomotore e connettivo e quelle per patologie dell’apparato respiratorio.
Quindi, sono stati messi a confronto i dati su farmacie e ricoveri ricorrendo ad alcuni correttivi dei fattori statistici. «Troviamo» scrivono gli autori «che l’aumento del numero di farmacie riduce la spesa pubblica per i ricoveri medici dell’1,3%. È interessante notare che l’aumento del numero di farmacie riduce i ricoveri urgenti (-1,5%) piuttosto che programmati (-0,7%). Stimiamo un risparmio pari a 1,57 euro procapite all’anno, per un totale di poco più di 90 milioni di euro».
I risparmi, poi, si fanno più cospicui in alcune specifiche Mdc: le spese per i ricoveri medici relativi a patologie dell’apparato nervoso, digerente e muscoloscheletrico, per esempio, diminuiscono rispettivamente di 3,2, 3,6 e 5,8 punti percentuali; non diminuiscono invece le spese per i ricoveri medici relativi alle patologie dell’apparato cardiocircolatorio.
Per gli autori la correlazione ha un suo fondamento: «le farmacie svolgono un ruolo cruciale come unità di prima assistenza medica che forniscono medicinali e informazioni per la cura di molte malattie; inoltre garantiscono la copertura tutti i giorni dell’anno, in qualsiasi momento e senza necessità di appuntamento». Una presenza più capillare e una maggiore accessibilità, dunque, migliorano l’assistenza e prevengono i ricoveri per urgenze.