Non è irragionevole la scelta con cui il legislatore ha consentito soltanto alle farmacie – e non anche alle parafarmacie – di effettuare sierologici e antigenici rapidi, dato che i due canali sono diversi per natura e regime giuridico. È la motivazione con cui la Corte costituzionale, con sentenza depositata ieri, ha giudicato infondate nel merito le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tar Marche a proposito dell’articolo 1, commi 418 e 419, della legge 178/2020 (la Legge di Bilancio per il 2021), «nella parte in cui consentono alle sole farmacie l’effettuazione dei test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene Sars-CoV-2».
Come si ricorderà, il Tar marchigiano aveva sollevato il dilemma nell’ambito del contenzioso innescato da due delibere emanate dalla Regione nel 2021, la prima per estendere alle parafarmacie il servizio di screening con test rapidi concordato in precedenza con le farmacie, la seconda per revocarlo dopo la diffida recapitata da Federfarma. Erano scaturiti ricorsi amministrativi e appelli sulle istanze di sospensiva cautelare, sino all’ordinanza del gennaio scorso con cui il Tar aveva sollevato un dubbio di legittimità costituzionale sulle norme che affidano gli screening rapidi per covid alle sole farmacie: «un farmacista abilitato» osservavano i giudici marchigiani «è idoneo a eseguire tutte le prestazioni connesse all’arte farmaceutica a prescindere dal luogo in cui egli si trovi ad operare», di conseguenza viene limitata senza alcun motivo «la libertà di iniziativa economica di determinati soggetti giuridici rispetto alla medesima attività che altri soggetti giuridici operanti nello stesso mercato di riferimento sono invece abilitati a svolgere». Inoltre, «la limitazione è in conflitto logico con la ratio sottesa alla normativa emergenziale», il cui obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare quanti più tamponi sia possibile.
La Corte costituzionale non ha accolto le tesi del Tar. Per cominciare, osserva, «la presenza di farmacisti abilitati in entrambe non mette in dubbio che tra farmacie e parafarmacie permangano una serie di significative differenze»: queste ultime sono «esercizi commerciali», le farmacie invece «svolgono un servizio di pubblico interesse preordinato al fine di garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute», fanno parte del Servizio sanitario nazionale e «sono dislocate sul territorio secondo il sistema di pianificazione di cui alla legge 475/68, il quale è volto ad assicurare l’ordinata copertura di tutto il territorio nazionale al fine di una maggiore tutela della salute».
A fronte «della diversa natura dei due soggetti giuridici e del differente regime giuridico che li caratterizza», dunque, la scelta di limitare gli screening per covid soltanto alle farmacie «rientra nella sfera della discrezionalità legislativa e non è censurabile per irragionevolezza». Tale scelta, spiega infatti la Consulta, «si fonda essenzialmente sull’inserimento delle farmacie nell’organizzazione del Servizio sanitario nazionale, che già consente loro di condividere con le autorità sanitarie procedure amministrative finalizzate a fronteggiare situazioni ordinarie ed emergenziali, anche mediante il trattamento di dati sensibili in condizioni di sicurezza».
In altri termini, «coinvolgendo nell’attività di screening soltanto le farmacie, il legislatore si è affidato a soggetti ordinatamente dislocati sull’intero territorio nazionale in ragione delle esigenze della popolazione, che già fanno parte del Servizio sanitario nazionale e che, in tale veste, sono stati chiamati a erogare servizi a forte valenza socio-sanitaria (D.lgs 153/2009, ndr)».
A orientare la decisione legislativa, conclude dunque la Corte costituzionale, «non è stata la figura professionale del farmacista, né la cosiddetta riserva di farmacia, relativa più propriamente alla vendita di determinati farmaci, ma la valutazione che la limitazione alle sole farmacie della possibilità di effettuare i test in questione fosse funzionale, per le ragioni anzidette, a un più efficace monitoraggio della circolazione del virus e, pertanto, a garantire una migliore tutela della salute pubblica».