Dopo l’Emilia Romagna, è il Lazio la seconda regione a ufficializzare un netto incremento della quota di vaccini antinfluenzali da stornare alle farmacie del territorio per il consumo privato: 100mila dosi in tutto, tre volte circa i 36mila pezzi promessi ai farmacisti emiliano-romagnoli dal loro governatore, Stefano Bonaccini. Le farmacie laziali, però, non riceveranno la fornitura maggiorata attraverso una “retrocessione” con ribollinatura dell’Aifa, come le emiliane (cosa che consentirà loro di vendere i vaccini in fascia C con gli abituali margini di legge), ma la otterranno direttamente dalla Regione in modalità dpc o “simil-dpc”. Lo si intuisce dall’ordinanza approvata l’altro ieri dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: le 100mila dosi saranno «rese disponibili alle farmacie» (quindi né cedute né reimmesse nel circuito distributivo) per «garantire l’acquisto con oneri a carico del cittadino, secondo un prezzo uniforme di partecipazione che verrà all’uopo individuato, e previo rimborso alla Regione del costo sostenuto».
In sostanza, i vaccini destinati alle fasce non a rischio verranno venduti dalle farmacie a un prezzo base pari a quello al quale l’amministrazione laziale li ha acquistati con gara centralizzata, più un “ticket” che, verosimilmente, tratterrà il farmacista a titolo di compenso. Quanto? Sarà la Direzione salute dell’assessorato alla Sanità a deciderlo, non attraverso una negoziazione formale con le farmacie, come accade con gli accordi per la dpc, ma soltanto dopo avere «sentito le organizzazioni maggiormente rappresentative». E ovviamente “sentire” non significa “ascoltare”.
Ma l’ordinanza del presidente Zingaretti sembra anche aprire le porte alla vaccinazione in farmacia, un intervento che i farmacisti titolari aspettavano da tempo. Il condizionale è d’obbligo perché anche in questo caso il testo mostra diverse opacità: innanzitutto si parla di «servizio di somministrazione/inoculazione del vaccino con conseguente assunzione di responsabilità»; in secondo luogo, la definizione di requisiti e modalità del servizio viene delegata ancora una volta alla Direzione salute, senza la benché minima indicazione su figure coinvolte (medici? infermieri?) e competenze del farmacista (vaccinerà? si limiterà a coordinare gli operatori coinvolti?).
Se l’ordinanza è stata subito accolta con toni positivi da Federfarma e Fofi («È questa la strada giusta per allinearsi alla maggior parte dei Paesi europei, dove da tempo il cittadino può vaccinarsi nella propria farmacia di fiducia» ha commentato il sindacato titolari), altrettanto velocemente le organizzazioni dei medici sono salite sulle barricate: «È inconcepibile che proprio i medici, unici legittimati a porre in essere atti clinici sul paziente, non siano stati interpellati su decisioni che riguardano le competenze della loro professione e la salute stessa dei cittadini» ha protestato il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli. «C’è una legge dello Stato che impedisce la presenza del medico in farmacia. Se non si cambia la norma, qualunque atto si farà in questo senso sarà impugnato» ha aggiunto il segretario nazionale della Fimmg, Silvestro Scotti. Di certo, al momento, c’è il fatto che la famosa collaborazione tra farmacie e medici di famiglia da cercare sul territorio e soprattutto nella ruralità – uno dei punti qualificanti del programma di questa presidenza – è ormai alle ortiche.