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Vaccinazioni in farmacia, arriva il decreto. Il nodo dell’abilitazione

19 Marzo 2021

Si avvicina anche per i farmacisti del territorio la “chiamata” per entrare nell’esercito dei vaccinatori a fianco di medici, pediatri, infermieri e odontoiatri. A dare luce verde, secondo alcune anticipazioni uscite nel pomeriggio di ieri, dovrebbe essere il decreto Sostegni che oggi approda in Consiglio dei ministri per l’approvazione. Quotidiano Sanità, in particolare, riferisce che nel provvedimento dovrebbe trovare posto un finanziamento extra di 4 miliardi per la Sanità, compresi 2,8 milioni per l’acquisto di vaccini e medicinali, 400 milioni per la loro logistica, 200 milioni per avviare la produzione italiana di vaccini contro covid e 350 milioni per la retribuzione dei vaccinatori.

A questi il decreto dovrebbe aggiungere gli infermieri del Ssn (con un allentamento del rapporto di esclusiva) e i farmacisti del territorio, per i quali va però sciolto il nodo dell’abilitazione: l’auspicio dell’Utifar è che il decreto conceda l’autorizzazione ai farmacisti che hanno frequentato il suo corso (5.174 l’hanno completato, altri 2.800 devono ancora effettuare la parte pratica), la decisione finale però dovrebbe spettare all’Istituto superiore di sanità.

Intanto è dibattito sulla “potenza di fuoco” che dovrebbe derivare dal coinvolgimento delle farmacie nella campagna nazionale. Per Assofarm, la rete dei presidi dalla croce verde potrebbe assicurare 250mila vaccinazioni al giorno, cioè 13 circa per farmacia. Altre stime dalla Liguria, dove dalla fine del mese comincerà la somministrazione nelle farmacie, affidata però ai medici: alla stampa, il presidente della Regione Giovanni Toti ha parlato di 3.500 vaccinazioni alla settimana da parte delle 50 farmacie del primo scaglione, ossia 7 al giorno per ciascuna.

Di certo, l’esperienza che arriva dai medici impegnati già da tempo nelle somministrazioni è che questa campagna non ha nulla a che vedere con quelle contro l’influenza e quindi sarebbe un errore cercare paragoni. Eloquente, al riguardo, un articolo pubblicato qualche giorno fa dal Corriere della Sera, dove un medico piemontese si lamenta della burocrazia che grava sulle vaccinazioni covid. Per ogni somministrazione, spiega, serve quasi un quarto d’ora ma l’inoculazione vera e propria prende soltanto una trentina di secondi, il resto se ne va in pratiche e moduli: anamnesi, rilettura dei dati forniti dal paziente per verificare l’assenza di impedienti alla vaccinazione, registrazione online. E così, mentre il medico disbriga le formalità, l’infermiere attende con la siringa in mano.

Torna a fare capolino, così, la distanza che separa l’organizzazione della campagna vaccinale italiana con quella di Paesi come il Regno Unito, dove fin dall’inizio i team vaccinali sono stati aggregati in modo da comprendere medici, infermieri, farmacisti ma anche amministrativi e informatici. «La campagna ha portato allo scoperto la disorganizzazione o l’inadeguatezza che contraddistingue l’organizzazione delle cure primarie in alcune regioni» commenta a FPress Saffi Ettore Giustini, medico di famiglia toscano della Simg «dove ci sono medicine di gruppo, Case della Salute o si lavora in base al modello della medicina d’iniziativa, sono tutti affiatati al lavoro in équipe, dove invece prevale un’organizzazione per compartimenti stagni si finisce per fare fatica».

In ogni caso, conferma Giustini, questa non ha niente a che vedere con una vaccinazione antinfluenzale: «In quel caso ero solito vaccinare anche duemila persone alla settimana, con covid invece si può procedere a buon ritmo soltanto se si dispone di team ben affiatati, nei quali ognuno è distaccato su una specifica fase del percorso e lavora in catena. E’ quello che succede in Inghilterra, dove sono abituati a lavorare così perché là ci sono i Primary care trust, ossia i poliambulatori della medicina generale. Nei quali lavorano amministrativi e infermieri che fanno triage, chiamano i pazienti per monitorare l’aderenza terapeutica e ricordare visite e prestazioni».