La competizione indotta dall’arrivo sul mercato dei biosimilari e gli effetti sui prezzi assicureranno la sostenibilità di molti trattamenti e garantiranno al Ssn risparmi che potranno anche superare i 400 milioni di euro all’anno. E’ quanto emerge dallo studio di Iqvia «Farmaci biologici e biosimilari: scenari terapeutici e stima del risparmio per il Sistema Sanitario italiano», pubblicato nei giorni scorsi dalla società di analisi: su un gruppo di otto farmaci biologici (adalimumab, trastuzumab, bevacizumab, oxaparina sodica, insulina lispro, ranibizumab, teriparatide e pegfilgrastim, valore complessivo 2017 un miliardo di euro) che tra il 2017 e il 2022 hanno perso o perderanno la protezione brevettuale, il risparmio medio generato dai biosimilari può arrivare a quasi 60 milioni di euro per anno in presenza di riduzioni medie di prezzo del 20%; può invece arrivare a cifre comprese tra i 299 e i 448 milioni di euro all’anno in caso di contrazioni dei prezzi del 30%.
A livello globale, spiega il report, il mercato dei farmaci biologici è cresciuto negli ultimi 5 anni del 57% e ha raggiunto un giro d’affari di circa 267 miliardi di dollari. È una dinamica, dice Iqvia, destinata a crescere nei prossimi 5-10 anni sulla spinta di due fattori principali: l’introduzione di farmaci biologici in aree terapeutiche in cui sono finora stati assenti e la competizione con i biosimilari. Questi ultimi, come tutti i prodotti di origine biotecnologica, sono approvati e autorizzati per l’immissione in commercio attraverso una procedura centralizzata nella quale i comitati scientifici di Ema (l’Agenzia europea del farmaco) valutano gli studi di comparabilità con l’originator. Non a caso, il 2° Position paper dell’Aifa, pubblicato alla fine del marzo scorso, ha ribadito la possibilità di avvicendare farmaci biosimilari e originator anche nei pazienti già in cura, poiché il rapporto rischio-beneficio dei biosimilari è il medesimo dei biologici di riferimento.
In un confronto a cinque con Germania, Gran Bretagna, Spagna e Francia, l’Italia si colloca in posizione mediana (terzo posto) per rilevanza del mercato dei biologici, con tassi di incidenza dei biosimilari variabili in base alla molecola: con infliximab (biosimilare lanciato nel 2015) l’Italia ha raggiunto una penetrazione del 60,9% nel 2017; quote di mercato superiori al 50% si registrano anche per l’epoietina (69%), l’ormone della crescita (67%) e G-CSF (94%), i valori rimangono invece sotto la soglia per anti-TNF (34%), FSH (11%) e insulina glargine (15%).
A livello locale, le Regioni che per prime hanno emanato regolamenti e instaurato politiche volte a promuovere l’ingresso dei biosimilari nei piani terapeutici evidenzano un’alta penetrazione di biosimilari (Toscana, Emilia-Romagna, Campania, Sicilia e Piemonte/Val d’Aosta). Al contrario, le Regioni che hanno stilato regolamenti tardivi e poco focalizzati mostrano una bassa penetrazione dei biosimilari (Lazio, Umbria, Sardegna e, con l’eccezione di anti–TNF, Lombardia). Il Trentino e la Liguria hanno prodotto regolamenti poco focalizzati, ma sono riuscite a ottenere un market share per i biosimilari superiore alla media nazionale del 25%, mentre le altre Regioni, pur promuovendo politiche mirate a favore dell’uso di questi farmaci, mantengono una penetrazione del mercato bassa.