La «libertà di prescrizione» e la competenza in capo al medico di valutare quanto sia sicura la somministrazione di un medicinale di cui non esiste l’equivalente autorizzato, «deve necessariamente coordinarsi con altri interessi di rilievo collettivo, cui l’ordinamento dello Stato può assegnare valore preminente». È il principio – quanto mai attuale in questi tempi di covid e terapie – ribadito dalla sentenza con cui il Tar Lazio ha respinto il ricorso presentato da un medico contro il decreto ministeriale del 16 dicembre 2016 che vieta la prescrizione di preparazioni magistrali contenenti sertralina e altri principi attivi.
Come si ricorderà, all’origine del provvedimento c’è una segnalazione del Comando carabinieri per la tutela della salute del 7 giugno 2016, in seguito alla quale la direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero della Salute chiese all’Aifa un parere tecnico-scientifico in merito alla pericolosità dell’utilizzo combinato di alcuni principi attivi in preparazioni galeniche magistrali a scopo dimagrante. Il decreto riprese tale parere e vietò la prescrizione (da parte dei medici) e la preparazione (da parte dei farmacisti) di farmaci galenici contenenti i principi attivi elencati nel testo.
Successivamente, il Ministero aprì un tavolo di confronto con le associazioni dei medici e dei farmacisti che concordò l’esclusione dal decreto di alcune delle sostanze vegetali elencate, da cui un secondo provvedimento ministeriale che modificava il primo.
Come il Tar Lazio rammenta nella sentenza, i due provvedimenti erano già stati impugnati in precedenti ricorsi davanti allo stesso Tribunale, respinti con due sentenze del 2018 e 2019 che mantengono la lroo attualità anche in questa circostanza. Va respinta, quindi, la tesi dei ricorrenti secondo la quale le disposizioni ministeriali violano la libertà prescrittiva del medico, dato che tale libertà non è garantita «in senso assoluto» ma deve necessariamente coordinarsi «con altri interessi di rilievo collettivo».
Bocciata anche la tesi che rinfaccia al Ministero l’assenza di un’istruttoria adeguatamente approfondita: il Tar ricorda al riguardo non soltanto il parere richiesto all’Aifa, ma anche quello sollecitato all’Istituto superiore di sanità, che aveva condiviso le osservazioni dell’Agenzia del farmaco e sottolineato la mancanza di «studi validi che dimostrino la sicurezza e l’efficacia dei principi attivi utilizzati, da soli o in associazione in preparazioni per scopi dimagranti».
Infine, è da respingere l’accusa che i due decreti violino il principio di concorrenza e di libertà di iniziativa economica: occorre infatti preservare, scrive il Tar, «l’adeguato bilanciamento tra valori costituzionalmente garantiti quali da un lato il diritto alla salute ex articolo 32 della Costituzione e dall’altro il principio di libertà di iniziativa economica ex articolo 41», sempre della Costituzione. Un bilanciamento, continuano i giudici, che nel caso delle farmacie deve rispettare l’indirizzo indicato a suo tempo dalla Corte costituzionale, secondo la quale «il regime delle farmacie va ricondotto nella materia della “tutela della salute”, anche se questa collocazione non esclude che alcune delle relative attività possano essere sottoposte alla concorrenza».
Infine, non va dimenticato che «la moderna medicina dell’evidenza richiede che la prescrizione di un farmaco si fondi su accertati profili di accertata efficacia e sicurezza», sulla base «delle migliori prove di efficacia clinica e, in particolare, di studi clinici a carattere sperimentale, randomizzati e controllati (Rct – controlled randomized trial), che costituiscono il gold standard della ricerca medica».