La supplementazione di vitamina D per diversi anni e in dosi più che adeguate (2000 UI die di colecalciferolo) «non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana senza fattori di rischio per osteoporosi» È la conclusione cui giungono due studi clinici randomizzati – l’americano Vital pubblicato sul New England journal of medicine e l’europeo Do-Health, uscito su Jama – le cui evidenze hanno convinto l’Aifa ad aggiornare la nota 96.
Le modifiche, spiega l’Agenzia in un comunicato, comprendono «l’introduzione della nuova categoria di rischio (“persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio”); la riduzione da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) del livello massimo di vitamina 25(OH)D sierica necessario ai fini della rimborsabilità, in presenza o meno di sintomatologia specifica e in assenza di altre condizioni di rischio; l’indicazione di livelli differenziati di vitamina 25(OH)D sierica in presenza di determinate condizioni di rischio (malattia da malassorbimento, iperparatiroidismo) già presenti nella prima versione della nota; l’aggiornamento del paragrafo relativo alle evidenze più recenti l’inserimento di un breve paragrafo dedicato a vitamina D e covid; l’aggiunta di un paragrafo sui potenziali rischi associati all’uso improprio dei preparati a base di vitamina D».
La nota 96, come noto, garantisce l’appropriatezza prescrittiva della supplementazione con vitamina D e analoghi (colecalciferolo, calcifediolo) per la prevenzione e il trattamento degli stati di carenza nell’adulto. I risultati dei due studi americano ed europeo, specifica l’Aifa nel comunicato, «si sono confermati anche tra i soggetti con livelli più bassi di vitamina 25(OH)D». A questi trial, poi, «si aggiunge la ricca letteratura riguardante l’utilizzo della vitamina D nel covid-19, che non ha dimostrato alcun beneficio in questa condizione».
Nella vasta platea dei medici italiani, tuttavia, c’è chi contesta gli ultimi indirizzi dell’Aifa. Come Annamaria Colao, presidente della Società italiana di endocrinologia (Sie), che al quotidiano La Stampa esprime le proprie perplessità: La posizione dell’Agenzia italiana, spiega, «è basata su una logica economica, miope dal punto di vista clinico e della prevenzione. Studi sperimentali mostrano quanto la vitamina D sia importante per il buon funzionamento di diversi apparati, da quello immunitario a quello scheletrico. Il risultato è che noi continuiamo a consigliarla e i cittadini ormai quasi sempre la assumono pagando di tasca loro».
Quanto ai due studi citati nell’aggiornamento della nota 96, continua Colao, «i risultati mostrano che la vitamina D da sola non previene fratture, e questo è vero perché la fragilità ossea può anche discendere da carenze nutrizionali consolidatesi nel corso di tutta la vita e ad altre patologie. Ma i due trial non lo considerano».
Gli studi, continua l’Aifa, hanno anche smentito l’efficacia della vitamina D nella prevenzione delle infezioni, ma anche su pure in questo Colao obietta: «Per questi studi» spiega «sono stati arruolati pazienti colpiti da covid ai quali è stata somministrata vitamina D a integrazione delle terapie. La supplementazione non ha mostrato benefici, ma non è insolito che una sostanza efficace nella prevenzione non abbia effetti nella cura». Giusto invece, conclude la presidente della Sie, l’avvertimento dell’Aifa di « non sottovalutare i rischi di sovradosaggio e di uso improprio dei preparati a base di vitamina D».