L’aderenza terapeutica rimane uno dei problemi irrisolti di gran parte dei sistemi sanitari dei Paesi avanzati. Vale anche per l’Italia: come ricorda l’edizione 2015 del Rapporto Osmed, i pazienti trattati con farmaci antipertensivi aderenti al trattamento sono il 58,1% del totale, quelli che assumono statine il 45,8%, i pazienti diabetici il 63,6%, i malati di Bpco il 13,8% soltanto. Come dimostra un numero crescente di studi, il miglioramento dell’aderenza terapeutica può avere effetti benefici sullo stato di salute della popolazione ancora maggiori di quelli derivanti da nuovi trattamenti. E’ quanto ricorda un articolo del Pharmaceutical Journal, la rivista ufficiale della Royal pharmaceutical society (l’Ordine dei farmacisti inglesi), che analizza cause e dinamiche della non-aderenza e spiega quali contributi possono arrivare dalle farmacie del territorio.
La constatazione di partenza è che il farmacista in farmacia «è l’ultimo professionista della sanità che il paziente vede prima di assumere il farmaco. Dunque, il suo intervento potrebbe avere un impatto sulla percezione della terapia». I farmacisti, in sostanza, «possono influenzare le aspettative dei pazienti purché siano sicuri che il trattamento è efficace e sappiano comunicare tale certezza». Inoltre, il farmacista ha un contatto diretto con il paziente, faccia a faccia, e dunque può capire se il malato ha compreso scadenze e posologia del trattamento, è motivato ed è informato.
Il punto ha la sua rilevanza perché l’aderenza terapeutica – come ricorda l’articolo – consiste nell’assumere «la medicina giusta al momento giusto, nel dosaggio giusto, per la durata prescritta e senza aggiungere farmaci di automedicazione in modo incontrollato». La non aderenza, continua l’articolo, può essere intenzionale (il paziente non inizia la terapia perché non accetta la diagnosi o cambia il dosaggio) oppure inintenzionale (il paziente dimentica di assumere i farmaci secondo prescrizione o il regime posologico è troppo complicato per le sue capacità di comprensione).
Tra le cause, invece, il Pharmaceutical journal ricorda la mancanza di fiducia nel trattamento, un’inadeguata educazione sanitaria, la scomparsa della sintomatologia (che illude il paziente e lo convince a interrompere la cura), stati depressivi eccetera. Dal lato degli operatori sanitari, invece, alimentano la non-aderenza la mancanza di tempo e l’inadeguata retribuzione, che aprono la porta a una cattiva comunicazione con i pazienti.
Quali sono allora gli interventi da mettere in campo per migliorare l’aderenza terapeutica? In un recentissimo report, la Fip (Federazione internazionale dei farmacisti) indica tre punti chiave: tutti gli operatori sanitari con cui il paziente si confronta devono comunicare in modo efficace; il paziente anziano deve essere aiutato ad assumere i farmaci nel modo corretto con istruzioni semplici e comprensibili; l’azione dev’essere continuativa, perché nessun intervento è conclusivo. Il farmacista, in particolare, dovrebbe mantenere un comportamento partecipativo piuttosto che assertivo, perché il prerequisito di ogni consulenza è quello di costruire con il paziente un rapporto di fiducia.
«I farmacisti» continua l’articolo «hanno solo pochi minuti per consultazione. Tuttavia, questo già basta per un intervento mirato, a patto che tutto il tempo sia utilizzato per ascoltare il paziente e motivarlo». Ogni consulto, avverte il Pharmaceutical Journal, dev’essere ben preparata: «Dire le cose giuste non è sufficiente, devono essere dette nel modo giusto perché il paziente si senta motivato».
Quale approccio in farmacia sull’aderenza terapeutica
(A) Approccio corretto a sostegno della prescrizionePaziente: “Il mio medico mi ha prescritto questo farmaco. Va bene?
Farmacista: “Assolutamente. Tuttavia, ci sono alcune cose da considerare per assicurarsi di ottenere il meglio da esso, che sono sicuro che lo farai. Posso farti qualche domanda?”
Paziente: “Sì, certo.”
Farmacista: “Che cosa sai già della medicina?”(B) Approccio erratoPaziente: “Il mio medico mi ha prescritto questo farmaco. Va bene?
Farmacista: “Fammi vedere. Non lo so, non ne ho mai sentito parlare prima – non è così comune. Potrei ricontrollare per te, se ti va?”
Paziente: “Sì, per favore fallo. La prossima volta ti chiederò, forse.”
Farmacista: “Prego. Posso esaminarlo la prossima settimana.”
Fonte: Pharmaceutical Journal
Il consulto in farmacia finalizzato al miglioramento dell’ada terapeutica, consiglia l’articolo, dovrebbe articolarsi in tre fasi: l’approccio, che serve al farmacista per assicurarsi la fiducia del paziente; la ricognizione, nella quale il professionista raccoglie informazioni sulla storia clinica del paziente (patologie pregresse, intolleranze eccetera) e sulle terapie in corso; la consulenza vera e propria, eventualmente in concomitanza con la dispensazione dei farmaci prescritti, in cui il farmacista spiega e motiva la terapia. «Con un atteggiamento centrato sul paziente e una comunicazione mirata» conclude l’articolo «il farmacista può aiutare i pazienti a gestire in modo appropriato la loro terapia». Non va però dimenticato che eventuali cambiamenti nella vita del malato possono influenzare l’aderenza, anche a lunga distanza dall’avvio della terapia. «Pertanto, ogni volta passaggio dell’assistito in farmacia dovrebbe diventare occasione per un breve consulto con cui rivedere aderenza ed eventuali problemi». Farà riflettere anche le farmacie italiane, che stanno trattando con la Sisac il rinnovo della Convenzione e cercano di inserire nel nuovo contratto anche l’aderenza terapeutica.
La fase 3 di un consulto in farmacia per l’aderenza terapeutica
Fonte: Pharmaceutical Journal