C’è anche il libro sui 160 anni di Federfarma Milano, “La nostra storia è il nostro futuro”, scritto a quattro mani da Michele Riva, docente di storia della medicina, e Angelo Beccarelli, presidente dell’Accademia di storia della farmacia, ad avvallare la celebre teoria viciana dei corsi e ricorsi storici. Il passato è spesso uno specchio e chi legge l’opera dei due studiosi scoprirà frequenti paralleli con il presente della farmacia italiana. Lo assicura a FPress Angelo Beccarelli, in una veloce pausa tra gli impegni cui è chiamato in questi giorni per l’organizzazione del prossimo congresso dell’Accademia.
Presidente, quando ha presentato il libro nella serata della settimana scorsa al Conservatorio di Milano, ha detto che chi lo leggerà avrà l’impressione di trovarsi di fronte a un testo non di storia ma di cronaca. Vuole spiegare?
Mi riferivo soprattutto alla liberalizzazione degli anni di Crispi e al parallelo con le liberalizzazioni di oggi. Spulciando negli archivi dei dibattiti parlamentari, è stato sorprendente scoprire che le argomentazioni di quella riforma non sono diverse da quelle che sostengono oggi i liberisti.
E cioè?
Innanzitutto la fiducia nel mercato e nella concorrenza anche quando di mezzo c’è il farmaco. L’abolizione della pianta organica era considerata da Crispi e i suoi una riforma che avrebbe migliorato efficienza e qualità del servizio farmaceutico. E così, nel 1888, venne varata la legge che tutti i farmacisti ricordano ancora oggi.
E dopo cosa avvenne?
L’esatto contrario di quanto speravano i liberisti: nel giro di pochi anni il numero delle farmacie in attività nel Paese quadruplicò e i nuovi esercizi si concentrarono, ovviamente, nelle città più popolose. Ne derivò un impoverimento che spinse gran parte dei farmacisti titolari verso una deriva commerciale sempre più deleteria.
Può fare qualche esempio?
La degradazione fu talmente repentina che appena quindici anni dopo, nel 1904, il ministero degli Interni sentì il dovere di riferire in una circolare dei rapporti provenienti dalle prefetture: la concorrenza aveva spinto le farmacie a competere sui costi, quindi si compravano materie prime di pessima qualità e si risparmiava sul servizio al pubblico. Come si suol dire, l’erba cattiva aveva scacciato quella buona. E sa perché?
Dica…
Quando i farmacisti sono spinti ad anteporre la dimensione commerciale a quella professionale, il servizio è sempre quello che ne fa le spese. Ed è una constatazione che vale ancora oggi.
Torniamo alla Storia: poi venne Giolitti…
Sebbene socialista come Crispi, Giolitti ebbe il merito di riconoscere senza remore che la riforma aveva fallito. Lo aiutò a prendere coscienza di ciò Carlo Giongo, che nelle vesti di presidente dell’Associazione farmaceutica milanese avviò con il capo del Governo un proficuo confronto.
Perché fu Giongo a prendere le redini?
A quei tempi non c’era ancora una federazione nazionale e soltanto in una sessantina di province le farmacie avevano una rappresentanza di categoria. Tra tutti i presidenti, Giongo era il più carismatico e poi guidava Milano, che a quei tempi, con l’industrializzazione, era già considerata la capitale morale del Paese.
E così, Giolitti ripristinò la Pianta organica…
Riconobbe che la farmacia non era un esercizio come gli altri, che per assicurare al Paese un’assistenza farmaceutica adeguata occorreva garantire a ogni farmacista titolare un bacino territoriale che lo aiutasse a mantenere un’elevata qualità di servizio.
Sembra di rileggere la sentenza della Corte di giustizia europea del 2013 sulla fascia C…
Che le avevo detto? Corsi e ricorsi.