Tappa un buco ma rischia di aprirne un altro la delibera della Commissione nazionale per la Formazione continua che chiede di correggere la disposizione del decreto Scuola sul bonus dei 50 crediti a medici, odontoiatri, infermieri e farmacisti. La questione è nota: nella legge di conversione del dl 22/2020 è stato inserito un emendamento che per quest’anno abbuona il debito informativo ai professionisti delle quattro categorie impegnati durante l’emergenza covid. Appena approvata, la misura ha suscitato le proteste delle altre professioni sanitarie soggette agli obblighi Ecm ma non contemplate nel testo, come ostetriche, radiologi, chimici, fisici, biologi eccetera.
Una prima toppa alla mancanza era stata messa alla Camera grazie a un ordine del giorno (prima firma Mandelli) che invitava il Governo a correggere la disposizione. Ora una raccomandazione ulteriore arriva dalla Commissione Ecm, che nella sua delibera caldeggia l’approvazione di un emendamento correttivo da licenziare nel primo provvedimento legislativo utile. E di cui suggerisce anche il testo: «I crediti formativi del triennio 2020-2022 da acquisire attraverso l’attività di formazione continua il medicina si intendono già maturati in ragione di un terzo per tutti i professionisti sanitari di cui alla legge 3/2018».
Il fatto che la Commissione sostituisca i 50 punti con un abbuono di un terzo del monte crediti è un dettaglio soltanto tecnico: il programma nazionale non fissa obiettivi annuali ma si limita a indicare un obiettivo di 150 punti a triennio, dunque la disposizione va adattata. Lascia però perplessi – ed ecco la nuova falla di cui si diceva – che nella formulazione suggerita manchi del tutto un riferimento all’epidemia covid. In sostanza, fosse recepito senza integrazioni, l’emendamento della Commissione estenderebbe il bonus “urbi et orbi” a tutti i professionisti con obbligo Ecm, che abbiano prestato o no la propria opera durante l’emergenza.
Forse, la Commissione ha ritenuto che trattandosi di professioni sanitarie tutte abbiano fatto la propria parte nell’epidemia, ma c’è da chiedersi se così sia stato effettivamente: nessun sanitario dipendente di struttura sanitaria privata è stato messo in cassa integrazione in questi tre mesi? Nessuno è stato in malattia (per cause che nulla avevano a che fare con il coronavirus), ha avuto periodi di riposo oppure opera in ambulatori che sono rimasti chiusi o inattivi per buona parte dell’epidemia? E’ molto probabile che se ne discuterà a lungo.