Nelle società di capitale che gestiscono farmacie, l’incompatibilità dei soci con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato sussiste sia quando il socio stesso gestisce la farmacia, sia quando è vincolato per legge a esercitare l’attività gestoria, come nel caso dei vincitori in forma associata del concorso straordinario. E’ quanto ha ribadito la Corte di cassazione nella sentenza del 5 aprile scorso, che conferma le precedenti decisioni del Tar Lazio e del Consiglio di Stato sul caso di due farmaciste che si erano viste revocare la sede vinta con il concorso a causa della docenza universitaria a tempo pieno di una di loro.
Il caso risale al 2018 e aveva fatto scalpore perché fu il primo a toccare il problema delle incompatibilità tra titolarità e rapporto di lavoro pubblico per i vincitori del concorso straordinario dopo l’entrata in vigore della Legge per la concorrenza. Le due professioniste ottennero l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio della sede nel settembre 2017, ma nel giugno successivo il provvedimento venne revocato perché una di loro risultava docente universitario associato a tempo indeterminato. Scattò quindi un ricorso al Tar Lazio, che nel 2018 diede loro torno, e quindi un appello al Consiglio di Stato, che nel 2020 rigettò una seconda volta le tesi delle ricorrenti: anche se la professoressa era socio accomandante della sas (con una quota del 50%), la normativa sul concorso straordinario prevede per i farmacisti che partecipano in forma associata la co-titolarità e co-gestione per almeno tre anni, cosa che rende pienamente applicabili le disposizioni sulle incompatibilità.
La Corte di cassazione, alle quali le due farmaciste si sono rivolte in ultima istanza per eccepire sulla legittimità della sentenza del Consiglio di Stato, ha respinto tutti i motivi di ricorso e confermato la validità delle precedenti decisioni.