Il divieto di cumulo di cui all’articolo 112 del Regio decreto 1265/34 «esprime, in tema di gestione di farmacie private, un principio di carattere generale inteso a evitare conflitti di interesse nonché a garantire il corretto svolgimento del servizio farmaceutico». È il principio rammentato dal Consiglio di Stato nella sentenza del 23 aprile scorso che ha rigettato il ricorso presentato da una titolare della provincia di Brescia contro il provvedimento dell’Ats che le revocava la titolarità della farmacia rurale.
La farmacista, come spiegano i giudici amministrativi, aveva partecipato al concorso straordinario indetto dalla Regione Lombardia e ottenuto in assegnazione una nuova farmacia; l’azienda sanitaria, di conseguenza, aveva avviato le procedure per la decadenza dalla sede precedente, in altro comune, ma la dottoressa si era opposta comunicando l’intenzione di cedere la farmacia a una società costituita da suoi familiari. L’Ats ha confermato il provvedimento di decadenza e la ricorrente l’ha impugnato prima davanti al Tar, con esito negativo, e quindi in appello davanti al Consiglio di Stato.
Con la legge 124/2017 sulla concorrenza, è in sostanza la tesi della farmacista, la disposizione sul divieto di cumulo di cui all’articolo 112 del Tuls sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 42 della Costituzione, in quanto discriminerebbe alcuni rispetto ad altri.
Di diverso avviso i giudici amministrativi di secondo grado: «Il problema» recita la sentenza «non si pone perché una società, di persone o di capitali, mai potrebbe concorrere al concorso straordinario, riservato solo ai farmacisti persone fisiche, candidati singolarmente o in gestione associata». Di conseguenza, sulla vicenda valgono soltanto le disposizioni di cui al decreto legge 1/2012 (che ha istituito il concorso straordinario) e le norme dettate dalla Regione Lombardia nel bando di gara. Dove, in particolare, è scritto che «le sedi già nella titolarità dei partecipanti sono sottratte alla loro disponibilità una volta che questi abbiano acquisito la titolarità di una delle sedi oggetto del medesimo concorso straordinario».
La disposizione, osserva il Consiglio di Stato, è coerente proprio con l’articolo 112 del Tuls, secondo il quale «chi sia già autorizzato all’esercizio di una farmacia può concorrere all’esercizio di un’altra; ma decade di diritto dalla prima autorizzazione quando, ottenuta la seconda, non vi rinunzi con dichiarazione notificata al prefetto entro dieci giorni dalla partecipazione del risultato del concorso». Sul piano strettamente logico, infatti, «non avrebbe senso consentire la partecipazione al concorso straordinario solo al farmacista rurale che non abbia disposto della farmacia nei dieci anni antecedenti al medesimo concorso, per poi legittimare la cessione dopo la sua conclusione (per effetto della formazione della graduatoria e l’assegnazione/accettazione della sede da parte del farmacista utilmente graduato) e nelle more del procedimento di autorizzazione/apertura».
Non a caso, ricorda il Consiglio di Stato, il concorso straordinario consentiva si ai partecipanti di concorrere all’assegnazione in due diverse regioni, ma obbligava comunque chi avesse vinto una sede in entrambe a sceglierne una. «L’ottenimento di due sedi» osserva la sentenza «avrebbe concretizzato un vantaggio anticompetitivo del tutto ingiustificato. La logica proconcorrenziale che presiede all’articolo 11 del decreto 1/2012 giammai potrebbe risolversi in un privilegio per i farmacisti vincitori».
Infine, i giudici hanno ricordato una volta di più che «la forma associata» con cui èc possibile parteciparte al concorso straordinario «non è una realtà giuridica diversa dai singoli farmacisti che concorrono alla sede»: all’esito del concorso, infatti, la sede vinta «deve essere assegnata ai farmacisti “associati” personalmente, salvo successivamente autorizzare l’apertura della farmacia e l’esercizio dell’attività in capo al soggetto giuridico (società di persone fisiche o di capitali) espressione dei farmacisti vincitori e assegnatari».