Il farmacista è tenuto a verificare dosaggi e quantitativi dei farmaci prescritti dal medico soltanto se sono preparati galenico-magistrali, veleni o stupefacenti. In caso di medicinali industriali, invece, il farmacista non è tenuto a controllare il dosaggio, «sicché il tanto o il poco dispensato in ricetta nulla può dimostrare in ordine alla consumazione di un illecito». È il principio affermato dalla sentenza con cui il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di alcune farmacie bresciane contro la sentenza di primo grado del Tar Lombardia, che aveva confermato le sanzioni amministrative inflitte loro dall’Asl per aver dispensato diverse confezioni di un medicinale a base di somatotropina sulla base di ricette contraffatte.
Il contenzioso discende da una truffa ai danni del Ssn risalente al 2013-2014: un malintenzionato aveva sottratto illegalmente ricettari e timbri ad alcuni medici e li aveva usati per procurarsi un cospicuo numero di confezioni di Omnitrope poi rivendute sul mercato nero dei prodotti dopanti. L’illecito aveva generato un danno economico al Ssn di diverse centinaia di migliaia di euro.
Concluse le indagini, l’Asl di Brescia aveva sanzionato le farmacie coinvolte sulla base di quanto sancito dall’articolo 358, comma 2, del Testo unico delle leggi sanitarie (1265/1934), per violazione della Tabella 8 della Farmacopea Ufficiale in quanto non erano stati rispettati «i limiti di dosaggio del medicinale Omnitrope 10 mg/1,5 ml erogato a fronte di svariate ricette del Sistema sanitario nazionale».
Le farmacie interessate avevano impugnato le sanzioni davanti al Tar, sezione di Brescia, che però aveva dato loro torto richiamando l’articolo 1 del d.lgs 258/1991 (secondo il quale rientra tra i compiti del farmacista la preparazione, il controllo, l’immagazzinamento e la distribuzione dei medicinali nelle farmacie aperte al pubblico), l’articolo 122 del già citato Tuls 1265/1934 (secondo il quale la vendita al pubblico dei medicinali è permessa esclusivamente al farmacista) nonché plurime disposizioni del Codice deontologico del Farmacista, ai sensi delle quali «la dispensazione del medicinale è un atto sanitario, a tutela della salute e dell’integrità psicofisica del paziente, e costituisce prerogativa esclusiva del farmacista, che ne assume la relativa responsabilità».
I ricorrenti hanno quindi impugnato la sentenza davanti al Consiglio di Stato che invece ha accolto il ricorso. Per i giudici di secondo grado, infatti, non c’è obbligo normativo che imponga al farmacista di verificare il dosaggio dei medicinali industriali. «La norma che nelle ordinanze impugnate si assume violata e sanzionabile ai sensi dell’articolo 358 comma 2 del Regio decreto 1265/1934» si legge nella sentenza «è proprio l’articolo 34 Rd 1706/1938, letto in combinato con la tabella VIII e con l’articolo 40, che tuttavia si riferiscono esclusivamente ai medicinali galenici magistrali e non a quelli di origine industriale». Al di fuori dei casi tassativi prescritti dalla stessa norma, continuano i giudici, «il farmacista che riceve una ricetta formalmente valida, in cui è prescritto un farmaco di origine industriale, non deve verificare il dosaggio del medicamento, sicché il tanto o poco dispensato in ricetta nulla può dimostrare in ordine alla consumazione dell’illecito».
Le stesse ricette, continua il Consiglio di Stato, «non riportavano il dosaggio giornaliero, per cui il farmacista, anche volendo, non avrebbe potuto effettuare alcuna verifica, peraltro ostacolata dall’ulteriore circostanza che la scheda tecnica dell’Omnitrope non riporta un dosaggio massimo per gli adulti ma solo per i bambini».
Degna di analisi anche un’annotazione del Consiglio di Stato riguardo alla contraffazione delle ricette: nel proprio ricorso, le farmacie avevano evidenziato la «contraddittorietà del comportamento dell’Asl di Brescia, la quale prima aveva riconosciuto la validità formale delle ricette rimborsandole alle farmacie e poi ha emesso le sanzioni impugnate, muovendo nei confronti dei farmacisti rilievi che sarebbero in realtà adattabili anche al suo ruolo» di ente controllore. Per il Consiglio di Stato, il rilievo va inteso nel senso che in capo al farmacista non sussiste alcun obbligo di «una verifica più che formale delle prescrizioni mediche o, comunque, più capillare e analitica di quella doverosamente richiesta» all’Asl competente. Detto in parole povere: l’Asl non incolpi le farmacie di non essersi accorte di una falsificazione che nemmeno l’Azienda sanitaria aveva colto sulle prime.