Sono 2.629, l’8,3% dei contagiati, gli operatori della sanità italiana che dall’inizio dell’epidemia hanno contratto il nuovo coronavirus. Il conteggio arriva dall’aggiornamento diffuso l’altro ieri dalla Fondazione Gimbe, tratto a sua volta dai dati forniti dall’Istituto superiore di sanità: «Il numero di operatori sanitari infetti è enorme» è il commento di Nino Cartabellotta (foto), presidente del Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze) «si tratta di una percentuale doppia rispetto a quella registrata tra i sanitari in Cina. Vuol dire che procedure e dispositivi di protezione sono ancora inadeguati, è indispensabile prendersi cura di chi si prende cura».
I dati della Fondazione offrono anche qualche motivo di ottimismo: il tasso di crescita al quale viaggia l’epidemia tende palesemente a rallentare, mentre la gravità complessiva dei numeri è amplificata da una sovrastima che ha per base il totale dei contagiati. L’aggiornamento del 16 marzo, spiega il Gimbe, riporta un tasso di pazienti in terapia intensiva del 6,6% sul totale dei casi confermati; i ricoverati con sintomi sono il 36,4%, i malati in isolamento domiciliare il 39,4%, quelli in isolamento domiciliare 36,4%, i dimessi guariti il 9,8%, i decessi il 7,7%. «Sono numeri» commenta Cartabellotta «in apparenza ben più severi di quelli cinesi: lo studio sulla coorte cinese su JAMA riferiva di tassi di ospedalizzazione in terapia intensiva del 5% e letalità grezza del 2,3%». Ma, avverte, «considerato che in Italia i tamponi vengono effettuati prevalentemente sui soggetti sintomatici, la gravità di covid-19 è ampiamente sovrastimata: vediamo soltanto la punta dell’iceberg».
Si può invece ipotizzare, prosegue il report della Fondazione, che ci siano oltre 70mila casi lievi/asintomatici non identificati, la cui inclusione nelle statistiche ridurrebbe la percentuale di ricoverati e in terapia intensiva e di deceduti ai valori della coorte cinese.
Per capire quando in Italia si raggiungerà il picco, infine, occorre tenere d’occhio l’indice percentuale di crescita dei nuovi casi, che negli ultimi giorni si è attestato attorno al 13% (ma serve tempo per capire se la tendenza è consolidata). Le modalità di diffusione dell’epidemia, in ogni caso, invitano a individuare quattro distinte aree, ciascuna con le proprie dinamiche: la prima è costituita dalla Lombardia, la seconda da Emilia Romagna e Veneto, la terza dalle Regioni confinanti e l’ultima da tutte le altre. I 4 “contenitori”, si legge nel report, rivelano impennate della curva molto simili, ma ritardate di 4-5 giorni l’una rispetto all’altra (figura 5). «Il numero limitato di casi nel gruppo delle altre Regioni, prevalentemente del Centro-sud» commenta Cartabellotta «genera un pericoloso e fallace senso di tranquillità. Ma rappresenta anche un grande vantaggio per ridurre la circolazione del virus, grazie alle misure di distanziamento sociale che in quelle Regioni sarebbero molto più tempestive».