Gli operatori sanitari che hanno ricevuto il vaccino all’inizio della campagna nazionale contro covid sono ancora protetti dal Sars-Cov2. Lo rivela uno studio dell’Azienda ospedaliero- universitaria di Sassari presentata all’83° congresso nazionale della Società italiana di medicina del lavoro e pubblicato sul Giornale italiano di medicina del lavoro ed ergonomia. La ricerca è stata condotta su oltre quattromila individui tra operatori sanitari, personale amministrativo e addetti esterni degli ospedali, e rivela che a distanza di 7 mesi dalla somministrazione soltanto lo 0,48% del campione ha contratto l’infezione, in forma asintomatica o paucisintomatica e senza ricoveri né decessi. In sintesi, spiegano i ricercatori, lo studio mostra un livello di protezione da vaccino significativamente superiore a quello rilevato dall’Istituto superiore di sanità nella popolazione italiana per classi di età comparabili.
«È chiaro che intervengono anche altre condizioni» avverte Antonello Serra, responsabile della struttura Sorveglianza sanitaria e coordinatore del centro vaccini covid-19 «e tra queste deve essere tenuta in debito conto la maggiore attitudine degli operatori sanitari ad adottare dispositivi e comportamenti di protezione dal rischio infettivo. A questa va aggiunto anche il fatto che una popolazione di lavoratori in attività è, mediamente, in condizioni di salute migliori rispetto alla popolazione generale».
In ogni caso, è significativo che la protezione dal contagio permanga nonostante il livello di anticorpi neutralizzanti si sia ridotto del 79,2% rispetto ai valori misurati al completamento del ciclo vaccinale. L’ipotesi dei ricercatori è che il complesso della risposta immunitaria, in cui è ricompresa anche l’immunità cellulare, risulti ancora efficace a distanza di 7 mesi, anche a fronte della circolazione di una variante, la delta, significativamente più infettiva.
«Quella degli operatori sanitari» ricorda ancora Serra «è una delle prime categorie a essere stata vaccinata. I dati emersi dallo studio forniscono dunque indicazioni confortanti: il vaccino tiene anche in una popolazione a elevato rischio infettivo». La terza dose, dunque, va indirizzata innanzitutto ai soggetti fragili e, in prospettiva, alle categorie a elevato rischio professionale. «Allo stato non abbiamo elementi per dire che sia una priorità nei soggetti sani in età lavorativa».