Continua a far discutere la recente sentenza con cui il Tar Lazio ha confermato le incompatibilità previste dall’articolo 8 della legge 362/91 per i farmacisti che figurano come meri soci di capitale in una società proprietaria di farmacie. Degno di nota, in particolare, è il commento che alla decisione dei giudici laziali riserva il numero di oggi di Sediva News, la newsletter dello Studio Sediva: la sentenza del Tar, scrive in sintesi l’avvocato Gustavo Bacigalupo, non si limita a confermare l’orientamento già espresso a suo tempo dal parere del Consiglio di Stato del gennaio 2018 sulle incompatibilità relative ai farmacisti, ma fornisce anche un’interpretazione del tutto nuova delle incompatibilità riguardanti i soci di capitale che invece non risultano iscritti all’albo dei farmacisti. Ai quali, in sostanza, il Tar laziale consente la partecipazione societaria anche quando sono titolari di un rapporto di lavoro pubblico o privato.
In altri termini, scrive Bacigalupo, la sentenza sembra avere «sostanzialmente “liberalizzato” la partecipazione alle società titolari di farmacia» a beneficio di «tutti i soggetti, persone fisiche o società, che non siano farmacisti iscritti all’albo o società a propria volta titolari di farmacia». L’incompatibilità tra titolarità e qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato, autonomo compreso, vale insomma soltanto per i farmacisti ma non per chi non lo è, cosa che – osserva Bacigalupo – «potrà giovare a molte cause, familiari e non». In attesa, ovviamente, che il Consiglio di Stato non venga chiamato a esaminare in secondo grado la sentenza del tar laziale.