Non commette esercizio abusivo della professione, “delitto” punito dall’articolo 348 del Codice penale, il farmacista che effettua tamponi antigenici rapidi in parafarmacia. È quanto recita una sentenza della Corte di cassazione pubblicata il 25 maggio scorso e ripresa l’altro ieri da un articolo di Norme & Tributi Plus, una delle testate collaterali de Il Sole 24 Ore. La notizia è stata subito ripresa da diversi giornali di settore e farà certamente discutere, perché tocca un tema – quello dell’erogabilità di test e tamponi in parafarmacia – che nelle Marche è già al centro di un lungo contenzioso sul quale ancora deve arrivare la parola fine.
In realtà, tuttavia, un attento esame della sentenza rivela che il caso trattato dalla Cassazione ha ben poche attinenze con quello marchigiano e, dunque, il dibattito che seguirà dovrà fare attenzione a evitare richiami che non ci sono. In sintesi: la vicenda trattata dalla Corte di cassazione riguarda la decisione con cui il Tribunale di S. Maria Capua a Vetere aveva convalidato il sequestro di tamponi antigenici e materiale accessorio al titolare di una parafarmacia che effettuava test rapidi all’interno del suo esercizio.
Per i giudici il farmacista era incorso nel delitto di esercizio abusivo della professione, e a sostegno avevano citato l’articolo 1, commi 418 e 419 della legge 178/2020, che autorizza le farmacie a erogare i test rapidi per lo screening di covid-19.
La sentenza della Cassazione, tuttavia, corregge il Tribunale e revoca il sequestro: «L’abusività dell’esercizio della professione» scrivono i giudici «è correlato ad attività che sono contemplate come di esclusiva pertinenza di chi dispone della relativa abilitazione» e nel caso dei test antigenici «è previsto dal legislatore che gli stessi possano essere effettuati da operatori sanitari o da altri soggetti reputati idonei dal ministero della Salute». Di conseguenza, «deve ritenersi che l’attività non solo non possa dirsi preclusa ai farmacisti ma sia specificamente riferibile anche a essi».
La disposizione dettata dalla legge 178/2020 ai commi 418-419 della legge 178/2020, continua la Corte, «non introduce una limitazione inerente allo svolgimento della professione in sé, ma contempla una disciplina che ha una duplice finalità, cioè da un lato assicurare le migliori condizioni di sicurezza e riservatezza sotto il profilo del contesto operativo e dall’altro garantire determinati equilibri di tipo economico, con riguardo agli esborsi richiesti alla platea dei fruitori».
È evidente, dunque, che la sentenza della Corte di Cassazione non apre la porta all’erogazione dei test rapidi nelle parafarmacie, né contesta l’impianto della 178/2020 laddove affida il servizio di screening alle farmacie del territorio. Osserva soltanto che il farmacista che effettua antigenici rapidi in parafarmacia non commette esercizio abusivo della professione, perché è regolarmente iscritto all’albo. Questo significa, continuano i giudici, «che la violazione in concreto ascrivibile» al titolare non riguarda il delitto di cui all’articolo 348 del Codice penale, ma è comunque «potenzialmente rilevante ad altri fini e se del caso idonea a configurare profili di responsabilità connessi a conseguenze non volute del test praticato».
Che la sentenza vada letta nel perimetro della vicenda cui si riferisce è confermato anche dal rigetto da parte della Cassazione della richiesta avanzata dal farmacista di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità della 178/2020 in quanto escludono la possibilità di effettuare test antigenici nelle parafarmacie, nonostante la presenza di farmacisti.
Sbaglia quindi il Movimento nazionale liberi farmacisti quando sostiene che la Corte di Cassazione avrebbe affermato «l’irrilevanza del luogo in cui la professione sia svolta e la mancanza di una differenza oggettiva tra la prestazione erogata nella farmacia rispetto a quella erogata nella parafarmacia, con ingiustificata compressione della libertà di iniziativa economica». Basta leggere la sentenza per capire che tale passaggio riassume soltanto le tesi esposte dal ricorrente per motivare la richiesta di intervento della Corte costituzionale, che la Cassazione ha rigettato. «Riassumendo» osserva l’avvocato Quintino Lombardo, dello studio legale Hwp Franco-Lombardo-Cosmo «la sentenza riconosce che non commette abuso di professione il farmacista che effettua tamponi in parafarmacia, il che è è assolutamente ragionevole. Ma questo non significa che la Cassazione sdogani i test rapidi negli esercizi di vicinato».